Nella compravendita che interessa immobile in cui è presente un abuso edilizio è importante la dichiarazione del titolo edilizio.
Sono da tenere inoltre in considerazione e porre particolare attenzione sui limiti di applicabilità della legge, gli atti delle procedure esecutive immobiliari, la mancanza della dichiarazione edilizia dentro l’atto traslativo della proprietà, l’abuso come causa di incommerciabilità dell’immobile, la possibile sanatoria postuma, l’irrilevanza dell’abuso rispetto ai contratti diversi dalla compravendita.
A. L’abuso edilizio e la vendita: l’importanza della dichiarazione del titolo edilizio all’interno dell’atto
La violazione delle norme edilizie riveste da tempo un ruolo fondamentale all’interno dell’ordinamento nazionale.
Come noto, la presenza di un abuso può comportare l’irrogazione di diverse tipologie di sanzioni:
- penali (art. 41 l. n. 1150/1942; art. 13 l. n. 765/1967, art. 17 l. n. 10 /1977; art. 20 l. n. 47/1985; art. 44 D.P.R. n. 380/2001);
- amministrative (cfr. art. 90 l. n. 2359/1865; art. 26 l. n. 1150/1942; art. 6 l. n. 765/1967; l. n. 10/1977; art. 15; l. n. 47 del 1985, art. 7, e art. 40 D.P.R. n. 380/2001);
- civili.
Con rispetto a quelle civili, la legge ha previsto alcuni casi di nullità dei negozi giuridici aventi ad oggetto il trasferimento degli immobili abusivi.
Nello specifico la l. 47/1985 (artt. 17 e 40) infatti è stato il primo testo a prevedere che gli atti traslativi di immobili dovessero recare al loro interno la dichiarazione del venditore relativa alla sussistenza del titolo edilizio legittimante la realizzazione dell’opera. In questo modo il legislatore ha provveduto ad ancorare il trasferimento dell’immobile alla necessaria presenza di un titolo edilizio che ne legittimi l’esistenza, così da:
- a) tutelare l’acquirente;
- b) evitare che l’ordinamento consenta una libera circolazione di immobili privi dei requisiti edilizi.
Successivamente il testo delle legge 47/1985 è poi confluito nel TUE, al cui interno, all’art. 46 comma 1, viene affermato che “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù”.
B. I limiti di applicabilità dell’art. 46 TUE e degli artt. 17 e 40 l. 47/1985 ed i rapporti con il preliminare di vendita
Le disposizioni di cui sopra, tuttavia, hanno un regime applicativo limitato, difatti le norme in esame trovano attuazione solo a fronte di atti idonei a trasferire il diritto di proprietà, dunque, a titolo esemplificativo e non esaustivo: 1) compravendita, 2) permuta e 3) donazione.
Diversamente, i contratti “meramente preparatori” sarebbero da ritenersi esclusi in quanto non in grado di traslare il diritto reale da un soggetto ad un altro.
Così ritiene parte della giurisprudenza, secondo cui il contratto preliminare di compravendita rappresenterebbe un negozio giuridico esterno rispetto al confine applicativo delle norme in esame (cfr. Cassazione civile sez. II, 30/01/2013, n.2204 “La nullità prevista dall’art. 40 l. 28 febbraio 1985 n. 47 con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria deve ritenersi limitata ai trasferimenti aventi effetto reale, e non estesa ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, come il preliminare di vendita, i quali restano, pertanto, disciplinati dall’art. 15 l. 28 gennaio 1977, n.10, secondo cui la nullità di tali contratti, se relativi ad immobili privi di concessione, non può essere fatta valere in giudizio alla duplice condizione che l’acquirente sia a conoscenza dell’abuso e che tale conoscenza risulti formalmente dall’atto, della cui nullità si discute”.)
Tuttavia, per altra parte della giurisprudenza il preliminare sarebbe comunque tenuto a indicare i riferimenti del titolo.
In particolare afferma che “In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare avente ad oggetto un terreno sul quale insistono anche delle costruzioni, non può essere emanata sentenza di trasferimento coattivo prevista dall’art. 2932 c.c., in assenza, non solo del certificato di destinazione urbanistica del terreno del d.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 30, ma anche della dichiarazione, contenuta nel preliminare, o successivamente prodotta in giudizio, sugli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, che costituiscono un requisito richiesto a pena di nullità dal d.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, ed integrano una condizione dell’azione ex art. 2932 c.c., non potendo tale pronuncia realizzare un effetto maggiore e diverso da quello possibile alle parti nei limiti della loro autonomia negoziale” (Cassazione civile sez. II, 02/09/2020, n.18195).
C. L’eccezione dell’art. 46, comma 5, TUE: gli atti delle procedure esecutive immobiliari
L’applicabilità della norma trova però una importante eccezione applicativa rispetto a determinati atti. L’art. 46, comma 5, TUE prevede infatti che le nullità non possono riguardare gli atti che derivano da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali.
In tal caso viene incontro all’aggiudicatario uno speciale meccanismo di sanatoria che prevede la possibilità per lo stesso aggiudicatario – sempre che l’immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria – di presentare una domanda di permesso in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dal giudice.
D. La mancanza della dichiarazione del titolo edilizio all’interno dell’atto traslativo della proprietà: tra nullità formale e nullità sostanziale
La natura della nullità di cui agli artt. 17 e 40 l. 47/1985 e 46 TUE è stata a lungo oggetto di un acceso dibattito da parte della dottrina e della giurisprudenza.
Un primo orientamento aveva inteso la nullità in esame come puramente formale (cfr. Cassazione civile sez. II, 07/12/2005, n.26970), mentre un secondo orientamento aveva, diversamente, rilevato come tale tipologia di nullità fosse qualificabile come sostanziale (cfr. Cassazione civile sez. II, 17/10/2013, n.23591).
Per la teoria formale ciò che rilevava ai fini della nullità assoluta prevista dalla norma in esame era la sola mancanza della dichiarazione del venditore, in quanto gli artt. 17 e 40 l. 47/1985, secondo i canoni interpretativi previsti dalle preleggi, non consentivano di attribuire alle disposizioni un significato diverso da quello voluto dalla stesso legislatore.
Viceversa, sul fronte opposto, per la teoria sostanziale ciò che rilevava era invece che l’immobile nascesse e si trasmettesse solo se privo di violazione edilizie ed urbanistiche comportanti, a tutti gli effetti, un abuso.
Tale concezione aggiungeva, dunque, un quid pluris al dato normativo, non ritenendo sufficiente la mera dichiarazione resa dal venditore ma richiedendo, invece, la sostanziale assenza di un abuso edilizio sull’immobile oggetto di compravendita.
A fronte di tale interpretazione la nullità non si legava alla carenza del mero requisito formale (la mancanza della dichiarazione) ma derivava solamente in quei casi in cui l’immobile compravenduto non fosse stato conforme rispetto alla prescrizioni edilizie ed urbanistiche e, di conseguenza, del tutto impossibilitati a fruire dei meccanismi sanatori/regolarizzatori previsti da legge.
A dirimere ogni dubbio circa la corretta natura della nullità ci ha poi pensato la Cassazione a Sezioni Unite che con la sentenza 8230/2019 ha affermato a chiare lettere la natura meramente formale della nullità prevista dall’odierno art. 46 TUE.
In particolare, il massimo consesso civile:
- afferma che la teoria sostanzialista renderebbe tout court incommerciabili tutti gli immobili non in regola con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie, cosa che invece non emerge dal dato testuale, anche in forza dell’art. 12, comma 1, delle preleggi, che impone il rispetto del criterio interpretativo letterale;
- specifica che la nullità formale in esame deve essere ricondotta al dettato di cui all’art. 1418, comma 3, c.c., il cui dettato apre alle c.d. forme residuali di nullità, vale a dire quelle espressamente previste da legge;
- cristallizza che la dichiarazione circa il titolo edilizio (che deve realmente esistere e deve essere riferito all’immobile oggetto del negozio giuridico) ha valenza essenzialmente informativa per la parte acquirente, la quale deve essere messa nella condizione di poter verificare l’effettivo rispetto delle condizioni edilizie che hanno legittimato la realizzazione dell’opera (per usare le parole della Corte “(…) per effetto della prescritta informazione, l’acquirente, utilizzando la diligenza dovuta in rebus suis, è, infatti, posto in grado di svolgere le indagini ritenute più opportune per appurare la regolarità urbanistica del bene, e così valutare la convenienza dell’affare, anche, in riferimento ad eventuale mancata rispondenza della costruzione al titolo dichiarato”);
- enuncia che la presenza della dichiarazione all’interno dell’atto comporta la piena validità ed efficacia del contratto stesso, restando del tutto irrilevante l’effettiva conformità urbanistica e/o edilizia del fabbricato tra il titolo rilasciato e lo stato di fatto dell’immobile.
E. L’abuso edilizio come causa di incommerciabilità dell’immobile e la possibile “sanatoria postuma” mediante conferma
L’effetto diretto della nullità prevista dalla legge comporta quindi l’incommerciabilità del bene. Difatti la dichiarazione diviene un elemento indefettibile per la negoziabilità dell’immobile, la cui mancanza rende nullo il contratto e quindi ne impedisce la trasferibilità.
La legge si interessa anche dei casi in cui la carenza della dichiarazione è dipesa unicamente da una mera dimenticanza delle parti (principalmente trattati del venditore), essendo sussistenti i titoli edilizi legittimanti la realizzazione dell’immobile oggetto di compravendita.
L’art. 46, comma 4, TUE prevede infatti che ciascuna parte (dunque anche solo una) può procedere con la presentazione di una conferma dell’atto divenuto nullo per carenza della dichiarazione mediante una dichiarazione redatta nella stessa forma di quella precedente che indichi il titolo edilizio omesso.
F. L’irrilevanza dell’abuso edilizio rispetto ai contratti diversi dalla compravendita: il caso delle locazioni di immobili commerciali e residenziali
Anche con riguardo al contratto di locazione la giurisprudenza ha avuto modo di affrontare il delicato rapporto tra validità del contratto e abusivismo dell’immobile locato.
In particolare, con riguardo al contratto di locazione ad uso abitativo viene affermato che la validità del contratto di locazione non è mai inficiata dall’eventuale condizione di abuso edilizio dell’immobile locato.
Difatti, per la giurisprudenza, l’abuso – concretandosi in una illiceità dell’opera – è fonte di responsabilità dell’autore nei confronti dello Stato ma non comporta la invalidità del contratto di locazione della costruzione stipulato tra privati.
Lo stesso principio ha poi riguardato anche i contratti di locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo (commerciale), in cui è stato affermato che l’abuso edilizio riguardante l’immobile o la mancanza di titoli autorizzativi necessari ai fini dell’utilizzo della cosa non inficiano – anche in questo caso – la validità del contratto, né rappresentano vizi della cosa locata.
In conclusione i contratti di locazione sono estranei al rispetto della nullità di cui sopra.
fonte: ingenio