La Corte di Cassazione con sentenza del 14 luglio 2017, n. 34533 ha affermato che, agli effetti penali, non è rilevante il richiamo alla legislazione regionale per desumere il carattere di difformità parziale di un intervento edilizio eseguito in difformità alla concessione edilizia in sanatoria.
La pronuncia dei giudici si pone al termine di un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva condannato l’imputato per aver realizzato opere in struttura metallica in zona sismica in difformità alla concessione edilizia in sanatoria, in assenza di progetto esecutivo e senza avviso alle competenti autorità.
Nel caso in esame, l’imputato aveva osservato che le opere, di mero ampliamento dell’esistente, erano state considerate come opere nuove e non invece come difformità parziali rispetto alla costruzione esistente, non rientranti nella sfera di punibilità di cui all’art. 44, lett. b) del Testo unico Edilizia, anche in relazione al contenuto di cui all’art. 7 della legge regionale siciliana n. 37 del 1985. Non sussisteva una particolare riduzione delle distanze dai confini, né le tettoie superavano la soglia della rilevanza penale; ed erano pertinenze del fabbricato esistente, assoggettate a semplice autorizzazione e non a concessione.
La Cassazione, nell’affermare il principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso. Sul punto, i Supremi Giudici hanno ritenuto scorretto il ragionamento dell’imputato secondo il quale per stabilire se un intervento edilizio realizzato in Sicilia costituisse o meno difformità totale ovvero variazione essenziale, doveva farsi ricorso alla definizione data dal legislatore siciliano alla parziale difformità; ossia alla verifica sul superamento di limiti stabiliti.
La Cassazione, in particolare, ha sottolineato che l’art. 31, comma 1, D.P.R. 380 del 2001 richiama un concetto di “totale difformità” ancorato, più che al confronto tra la singola difformità e le previsioni progettuali dell’intervento edilizio, alla comparazione sintetica tra l’organismo programmato nel progetto assentito e quello che è stato realizzato con l’intervento edilizio scaturito dall’attività costruttiva.
La conseguenza è che, mentre il metodo valutativo utilizzabile per definire il concetto di “parziale difformità” ha carattere analitico, quello destinato ad accertare la “totale difformità” si fonda su una valutazione di sintesi collegata alla rispondenza o meno del risultato complessivo dell’attività edilizia rispetto a quanto è stato rappresentato nelle previsioni progettuali.
In proposito, già nel previgente assetto normativo era stato chiarito che si parla di difformità totale di un manufatto edilizio se i lavori riguardano un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione. Diversa per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione; mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione. E si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera.
A riguardo, secondo la Cassazione, è stata correttamente valutata l’irrilevanza del richiamo alla legislazione regionale per desumere, rispetto alle singole difformità e non alle anomalie nel loro complesso, il carattere di difformità parziale. Proprio per la richiamata natura totale (concettualmente ben diversa dall’ipotesi di difformità parziale, come si è visto) delle difformità edilizie unitariamente riguardate, ed attesa la clausola di salvezza posta in apertura della disposizione, l’art. 32 del testo unico dell’edilizia non si presenta applicabile. Sì che non vi è spazio per le determinazioni integrative fissate dalla legislazione regionale, che della difformità totale non può occuparsi.
Fonte (Geometra.info)