Le Amministrazioni possono disporre l’annullamento del permesso di costruire in autotutela per correggere la propria azione amministrativa.
L’annullamento del permesso di costruire d’ufficio può riguardare anche i provvedimenti che si sono formati per silenzio assenso.
Limiti temporali
La normativa sul procedimento amministrativo prevede che l’annullamento del permesso di costruire deve avvenire entro un termine ragionevole.
Il Tar Marche, con la sentenza 265/2023, ha sottolineato un altro aspetto, riguardante la responsabilità dell’Amministrazione, che prima di rilasciare il permesso, è tenuta ad effettuare i dovuti controlli.
Esempio: annullamento del permesso di costruire
Il caso analizzato dal Tar Marche inizia con il rilascio del permesso di costruire a settembre 2020. Il permesso di costruire autorizza una ristrutturazione edilizia con ampliamento ai sensi del Piano Casa regionale.
I vicini, contrari alla realizzazione dell’intervento, chiedono la revoca del permesso di costruire.
Dopo il sopralluogo, il Comune rileva un eccesso di volumetria rispetto a quella consentita dal Piano Casa. A novembre 2021 il Comune procede all’annullamento del permesso di costruire e ordina al responsabile degli interventi di ripristinare lo stato dei luoghi.
I responsabili dell’intervento presentano quindi ricorso, lamentando che l’annullamento del permesso di costruire:
– è avvenuto dopo il termine perentorio di 12 mesi previsto dalla normativa;
– non menziona l’unica deroga al rispetto del termine perentorio, cioè la presenza di dichiarazioni false che hanno indotto l’Amministrazione a rilasciare il permesso su basi sbagliate.
Il Comune ha risposto di ritenere legittimo l’annullamento del permesso di costruire, rilasciato sulla base di una falsa rappresentazione dello stato di luoghi.
Annullamento del permesso di costruire, quando è consentito
I giudici hanno accolto il ricorso del responsabile dell’intervento di ristrutturazione contro l’annullamento del permesso di costruire.
Il Tar ha sottolineato che si verifica la falsa rappresentazione dello stato dei luoghi quando la falsità non emerge dal progetto presentato al Comune. In caso contrario, si legge, si verifica una sorta di concorso di colpa.
La colpa del Comune, però, assorbe quella del privato dal momento che il Comune rilascia il titolo abilitativo dopo aver verificato la presenza dei presupposti di legge.
Più che di falsa rappresentazione, spiegano i giudici, si deve parlare di falsa interpretazione del progettista, che ha commesso degli errori nella stima delle misure dell’edificio e ha dedotto che una tettoia abusiva fosse stata sanata precedentemente.
Il Tar ha affermato che in questi casi, se il Comune non prova la malafede del committente o del progettista, si ha a che fare con una diversa interpretazione delle norme edilizie e urbanistiche e non con la falsità della rappresentazione dello stato dei luoghi.
I giudici hanno aggiunto che, per il rilascio del permesso di costruire, “le amministrazioni sono tenute ad acquisire d’ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull’autenticità di tali documenti, informazioni e dati”.
Questo significa che grava sul Comune l’onere di acquisire i documenti necessari per l’istruttoria della pratica di rilascio del permesso di costruire.
Pertanto dalla visione delle planimetrie il Comune avrebbe potuto accorgersi dell’errore del progettista e suggerirgli le dovute modifiche.
fonte: edilportale