Pertanto siamo di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di CILA) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la SCIA).
Ecco perché è molto interessante approfondire l’interessante sentenza 11155/2019 del Tar Lazio del 20 settembre scorso; riguarda la legittimità o meno della dichiarazione di inefficacia della CILA da parte del comune.
La dichiarazione di inefficacia della CILA
L’oggetto del contendere è rappresentato da questa particolare ‘dichiarazione’ amministrativa.
Contro questa viene presentato ricorso da parte del proprietario dell’immobile nel quale erano stati realizzati alcuni interventi edilizi per i quali era stata presentata una CILA, illegittima secondo il comune, che per l’effetto ne ha dichiarato l’inefficacia, disponendo la sospensione dei lavori in corso e la demolizione e il ripristino dei presunti abusi edilizi.
NB – la CILA in questione era stata presentata per avviare un intervento di restauro e risanamento conservativo volto a sanare le “irregolarità” evidenziate dal comune per violazione urbanistico-edilizia.
Secondo la PA, tale CILA sarebbe illegittima in quanto inidonea a regolarizzare l’insieme delle difformità in essa contemplate.
Il limite dei 30 giorni e le procedure corrette sulla CILA
Il punto fondamentale del ricorso è il primo. Non avendo l’amministrazione provveduto entro i trenta giorni dal ricevimento della CILA, essa avrebbe potuto solamente assumere un provvedimento di autotutela nel rispetto dei requisiti formali e sostanziali di cui all’art. 21-nonies (Annullamento d’ufficio) della legge 241/1990, non esistendo nell’ordinamento la “dichiarazione di inefficacia”.
Il Tar inizia la disamina rilevando che, mentre in materia di SCIA sussiste una disciplina che postula espressamente l’applicazione dei requisiti procedurali e sostanziali di cui all’art. 21 – nonies della legge 241/1990 (arg. ex art. 19, commi 3, 4 e 6-bis della legge 241/1990), la legge non contiene disposizioni simili in ordine alla CILA. Al riguardo il Consiglio di Stato ha fornito queste importanti precisazioni (C.S. comm. spec., parere n. 1784 del 4 agosto 2016):
- qualora “la comunicazione sia utilizzata al di fuori della fattispecie legale, ossia per eseguire opere che richiedano il permesso di costruire (o la stessa SCIA) o, comunque, in violazione della normativa in materia...l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell’abuso”;
- in questi casi, in particolare, “la CILA è del tutto inidonea a legittimare un’opera che è, e resta, sine titulo. La sua natura totalmente abusiva continua a poter essere rilevata, in ogni momento e senza limiti di tempo, dall’amministrazione competente”;
- “l’attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere ‘soltanto’ conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”
- conseguentemente la PA mantiene sempre integro il potere di vigilanza contro gli abusi delineato in via generale dall’art. 27 del dpr 380/2001.
Nel caso di specie l’esercizio del potere consiste nel semplice rilievo, non soggetto a termini o procedure particolari e comunque non rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 21 – nonies della legge 241/1990, dell’inefficacia della CILA in vista della sospensione dei lavori e dell’adozione dei conseguenti provvedimenti repressivi.
Cos’è la CILA?
Semplificando, si potrebbe sostenere che la CILA è una via di mezzo tra l’edilizia libera e la SCIA. Ha carattere residuale, poiché applicabile agli interventi non riconducibili tra quelli elencati agli artt. 6, 10 e 22 dpr 380/2001 e riguardanti, rispettivamente, l’edilizia libera, le opere subordinate a permesso di costruire e le iniziative edilizie sottoposte a SCIA. In base, poi, alle prime pronunce giurisprudenziali, la CILA è ritenuta atto avente natura privatistica, come tale non suscettibile di autonoma impugnazione innanzi al g.a.
(rif. ingenio)